" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

mercoledì 28 ottobre 2009

Ben X - Il coraggio è tutto. La storia di un giovane Asperger

Negli ultimi anni, è aumentato l’ interesse del cinema verso l’ autismo, nelle sue complesse manifestazioni. A volte si tratta di opere con un taglio semplificatorio e con forti concessioni all’ intrattenimento (penso al celebrato Rain Man , diretto nel 1988 da Barry Levinson).
In altri casi, questo tema diviena occasione per narrazioni di maggiore lucidità espresiva, che analizzavano i significati emotivi, spirituali e sociali, legati ai disturbi a sfondo autistico. Mi riferisco, per esempio, a Oltre il giardino (1979) di Hal Ashby, o ad un film che in Italia è circolato poco, Elle s'appelle Sabine (2007) di Sandrine Bonnaire, esordio alla regia di questa eccezionale attrice. Qui le storie si fanno più ricche di sfumature e il cinema ritorna strumento prezioso per raccontare le difficoltà e il dolore degli uomini.

Un film di cui si parlerà molto



In queste settimane, sta arrivando sui nostri schermi un film sulla sindrome di Asperger, di cui varrà la pena parlare. Vincitore del Festival YoungAbout, Ben X è un film di Nic Balthazar candidato agli Oscar come miglior film straniero per il Belgio nel 2007 (trasposizione cinematografica di un romanzo scritto dallo stesso regista).
La vicenda affronta il tema del bullismo e della paura del diverso. Ben è un ragazzo a cui viene diagnosticata da piccolo una forma lieve di autismo - la Sindrome di Asperger - che lo isola dal mondo esterno, ponendolo in uno stato di costante silenzio e apparente apatia. Il suo mondo è diviso in due: uno silenzioso e frustrante (quello reale) ed uno in cui il giovane Ben esce dalla sua armatura emotiva per entrare in quella di Ben X, avatar – cavaliere temuto e rispettato all’interno del gioco online Archlord.
Qui c’è il vero centro emozionale della sua vita,Scarlite, una ragazza di cui è innamorato che però conosce solo come personaggio virtuale. E poi ci sono due suoi compagni di classe, prototipi del bulletto di oggi, piccoli spacciatori incapaci di accettare il diverso. A loro, in ossequio alle dinamiche del branco, ben presto si uniscono anche gli altri compagni. Ma il film si incentra su Ben, sulla sua incapacità di avere rapporti “umani”, sui suoi tentativi di colmare con le esperienze delle altre persone, che lui registra in maniera apparentemente maniacale nella speranza di riuscire ad imitarli. E sopratutto sull’impossibilità di quelli che lo circondano di capirlo e aiutarlo.
Il finale ha un singolare colpo di scena, in cui emerge anche una ragionata critica ai mezzi d’informazione, rei di non dare il giusto risalto a ciò che accade al protagonista.
Bisognerà riparlarne quando il film uscirà nelle sale.Per ora vale la pena segnalare l ‘uso soprendente della realtà virtuale, che tanta importanza ha per i giovani con tendenze autistiche, e una direzione degli attori di grande sicurezza.

Per saperne di più

Il sito dedicato al film, ricco di materiale informativo: http://www.moviesinspired.com/

Sulla Sindrome di Asperger è indispensabile il sito dell’ Associazione: http://www.asperger.it/

Le avventure dell’ amicizia



Vinícius de Moraes, poeta e musicista brasiliano, sosteneva (cito a memoria) che la vita è l’ arte dell’ incontro. A me ne è capitato uno in rete, e vale la pena raccontarlo. Quasi un anno fa, stavo vagando in Internet, come faccio ogni mattina, e ho digitato il nome di Goffredo Fofi, uno dei protagonisti (scusate la retorica) della vita culturale italiana degli ultimi quarant’anni.
Come tanti della mia generazione, seguo il lavoro questo intellettuale e saggista almeno dagli anni settanta: un modello di ricerca intellettuale, libera dai conformismi del potere.


Una scoperta casuale


Quella ricerca era un modo per documentarmi, ereditato da anni di lavoro nelle riviste culturali. Tra i primi siti che quella mattina mi si sono aperti ve ne era uno che mi ha subito incuriosito : http://lineadombra.wordpress.com/. Mi hanno ha colpito immediatamente i colori vivaci e allegri, ma sopratutto le righe che ho cominciato a leggere. Era una lunga presentazione della personalità di Fofi. Leggevo con crescente simpatia un articolo assai bello, pieno di passione e intelligenza, con una grande puntualità nel restituire un clima culturale e spirituale, che appare (in apparenza) un po' laterale rispetto alle magnificenza dell’ industria culturale dominante.
L’ autore e curatore del sito, Luciano Coluccia, vi ricostruiva l’ itinerario dell‘ideatore di riviste come Lo straniero e Linea dì ombra, e di almeno una diecina di libri che saranno indispensabili negli anni per capire la storia culturale di questo disgraziato paese.

Di getto, ho inviato all’ indirizzo indicato dieci righe generiche di apprezzamento, raccontando la mia storia. Padre di un giovane di ventinove anni con la Sindrome di Asperger – una variante lieve dell’ autismo - , avevo scritto insieme a lui un libro - Non avevo le parole- per raccontare la mia esperienza e farne motivo di una riflessione da condividere con altre famiglie, e magari con il mondo della politica e della cultura. Una presunzione abbastanza ingenua, ma l’ avrei capito dopo!!
Grazie alla sensibilità e all‘impegno di Mario Bertin, direttore all’ epoca della casa editrice Città Aperta, erano venuti a presentare quel libro Vinicio Albanesi e .. Goffredo Fofi!! Potete immaginare con quale personale emozione: nascondo a fatica la mia timidezza dietro una fluvialità verbale, che spaventa anche gli amici più comprensivi...
Raccontai a Luciano questa storia, per avviare una conoscenza, e da li n è scaturita una corrispondenza e un ‘ amicizia del tutto virtuale. Seguendo il suo lavoro, ho ritrovato una rivista straordinaria, come Una città, ricca di umori della tradizione liberal-socialista italiana. Ne è nata - del tutto casualmente- anche un' intervista, che più tardi abbiamo ritrovato sul sito di Fahrenheit, la trasmissione radiofonica dedicata ai libri.
E’ intitolato La strada del rispetto e vi lascio qui sotto il Link. La comunicazione sociale è ormai diventata un ‘ impegno di vita e come tale cerco di svolgerla-
Da allora non dimentico di visitare periodicamente il sito Linea d’ombra. Vi ritrovo mille suggestioni, che sono anche le mie: tanti libri di sociologia, cinema ed editoria sociale, i fumetti più amati, autori amati come Simone Weil. Ma vi incontro soprattutto la storia di Luciano, che si è impegnato da tempo in una nuova e faticosa esperienza: un’ adozione internazionale in Brasile. Mi sono arrivate da mesi tante sue mail, ricche di informazioni, di passione e di colori sulle tappe di quella vicenda, sul Brasile e le emozioni della sua famiglia.
Questo ricordo del suo lavoro è anche un modo di augurargli buona fortuna in questi diificili e inesplorati territori. E’ proprio vero: la vita è l’ arte dell’ incontro!

Tre suggerimenti:

http://lineadombra.wordpress.com/
http://www.unacitta.it/
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=278991

Una riflessione di Augusto Battaglia

Riprendiamo un articolo da L’ Unità, 21 ottobre 2009, sul tema dello stato delle politiche per la disabilità nel nostro paese, e segnala le difficoltà e i problemi in atto.

I diritti dei disabili e quello strano silenzio
di Augusto Battaglia

Il passo falso del Governo alla terza Conferenza Nazionale sulle politiche della disabilità a Torino ad inizio ottobre, per quanto passato sotto silenzio, è destinato a pesare sul clima del tavolo nazionale di confronto con le associazioni dei disabili e delle famiglie iniziato ieri.Il dibattito è stato compresso in un giorno e mezzo, poco spazio è stato lasciato agli interventi, e nessuna proposta operativa è arrivata dall’esecutivo, nessun ministro era presente.
La sola sottosegretaria Roccella a seguire i lavori, mentre Sacconi, pur annunciato nel programma, recapitava un video registrato, accolto dalla platea con fischi e sonore contestazioni. Il suo intervento, poi, si muoveva su linee generali e buoni propositi, prospettando però ambigui intenti di modifica del collocamento obbligatorio, non certo graditi ai presenti.



Questa l’immagine un po’ grigia della Conferenza. Eppure erano accorsi a Torino fiduciosi e motivati circa un migliaio di partecipanti. Rappresentanti di disabili e di famiglie, operatori e amministratori locali che hanno animato con passione e competenza i gruppi di lavoro su temi precisi: un più aggiornato concetto di disabilità e nuovi criteri di valutazione, lavoro e piena applicazione della
legge 68, domiciliarità e servizi per l’autonomia, accessibilità e nuove tecnologie, salute mentale e sfida delle disabilità estreme, ma soprattutto attuazione della Convenzione Onu sulla disabilità ratificata dal Parlamento lo scorso 3 marzo.
Il futuro delle proposte, recepite nei documenti finali, è ora affidato al lavoro iniziato ieri al Ministero.
Ma difficilmente il clima del confronto potrà essere positivo, se prima non si rimuoveranno i macigni che hanno pesato sulla Conferenza. Quelli della Finanziaria, che ha falcidiato la spesa sociale, cancellato il fondo per la non autosufficienza e ridotto le risorse per il servizio civile; le misure restrittive nella scuola, che penalizzano l’integrazione; le difficoltà in cui versano le casse dei comuni dopo l’abolizione totale dell’Ici, tema al centro anche dell’intervento, applauditissimo, del Sindaco Chiamparino.
Ma anche il recente decreto Tremonti che ha bloccato il collocamento dei disabili in settori importanti della pubblica amministrazione.Sembrano remoti i tempi della prima conferenza del ‘99, quella con Livia Turco e l’intervento dell’allora premier D’Alema, che produsse un importante Programma di Azione, purtroppo accantonato dal successivo Governo Berlusconi. Oggi il quadro è ben diverso, ma il mondo della disabilità saprà esercitare ancora una volta quella pressione costante e creativa che in trent’anni ha cambiato in Italia la cultura della disabilità, conquistato diritti e spazi crescenti di integrazione. Non sarà un Governo Governo inadeguato a frenare un processo così importante per l’intera collettività.

martedì 27 ottobre 2009

Il vecchio Clint di fronte al male


Da Confronti, Gennaio 2009)

Siamo a Los Angeles, nel pieno rigoglio di quegli anni venti che già facevano presagire la crisi economica del 1929. A Christine Collins (Angelina Jolie) , una madre apparentemente conformista e senza grandi ideali, viene rapito il figlio. Dopo un periodo di ricerche angosciose, il piccolo ritorna a casa, ma la donna si rende subito conto che qualcosa non funziona: la ragione e l’ istinto le dicono che quel ragazzo non è il suo. Inizia da qui una lunga battaglia, caratterizzata da orrore e speranza insieme, che metterà in durissimo contrasto la madre con le autorità ( polizia, e magistratura): queste tendono ovviamente a rassicurare la pubblica opinione e a considerare chiuso il caso.

La lotta di una madre
Changeling, l’ ultimo film di Clint Eastwood è tratto da una storia vera, ma viene rielaborata dal regista in piena sintonia con le sue scelte creative, che ricollegano questa vicenda alle sue ultime straordinarie opere: Mystic River e Million Dollar Baby.
I motivi ispiratori di questa storia d’ una infanzia violata sono almeno tre. Il primo è una lettura acuta e straordinariamente sensibile dell’ “ amore materno”, analizzato senza retorica, ma con un’ attenzione struggente ai moti dell’ animo di una madre che vive la ferita della perdita del figlio. Ma è anche qualcosa di più della semplice esaltazione del sentimento materno ( peraltro mai banale).
Nella lunga battaglia per ritrovare il ragazzo, Christine vede messa in discussione la sincerità del proprio sentimento ed offesa la propria dignità di donna. Viene accusata di immoralità da chi usa l’ipocrisia moralistica per nascondere colpe sociali assai più gravi. Il quadro che Eastwood ci delinea dell’ America degli anni venti è agghiacciante. Medici, poliziotti e uomini politici delle istituzioni sono rappresentati con una ferocia resa ancora più efficace dallo stile del regista: severo, rigoroso, sino al limite dell’ ascetismo narrativo.

Il male, tra la storia e la nostra mente
Al ritratto di una donna, che afferma la propria autonomia, e alla denuncia sociologica e morale della corruzione politica si affianca un terzo elemento, che è sempre più presente negli ultimi film del grande regista americano: quello etico- religioso, che si accentra intorno al rapporto tra la presenza del male e l’ oscurità dei segni di una possibile presenza provvidenziale.
Alla violenza del potere, determinata e identificabile, se ne affianca un ‘altra, più oscura e minacciosa, quella della violenza sadica sui ragazzi, senza motivazioni plausibili e quindi ancora più terribile. E’ il tema del male che in vecchiaia sembra tormentare Eastwood e lo fa interrogare in modi sempre più dolorosi.
Il regista sembra dirci: le colpe politiche e sociali si possono combattere, si può avere speranza in un mondo più giusto, come invoca in questo film la straordinaria figura del pastore presbiteriano: a lui è affidato il lieve alito di fiducia nel futuro che il film solleva alla fine.
“ La provvidenza si manifesta in forme oscure” ( cito a memoria) dichiara ad un certo punto un personaggio del film. A questa fiducia fa da controcanto disperato un’ impasto di menzogna e sadismo, che sembra condannare una gran parte degli esseri umani ad una violenza senza fine. Tra queste due polarità di luce e di buio si muove un film di incredibile bellezza, che – malgrado qualche lieve sbavatura- stupisce per la sua austera classicità. Da non perdere.

martedì 6 ottobre 2009

Il ragazzo che non aveva parole


E’ uno dei tanti provvedimenti del governo di centrodestra. Passano inosservati per molti. Non per le vittime predestinate. Sono in questo caso i disabili, persone affette da malattie che però non impediscono loro di prestare un’opera preziosa in diverse mansioni. Il decreto Tremonti cosiddetto anticrisi blocca ora non le esose rendite finanziarie, bensì la possibile assunzione dei disabili nelle pubbliche amministrazioni. Addosso ai deboli, insomma. Una carognata di quella destra non elitaria come direbbe Brunetta.

Il caso lo denuncia in un’Email Umberto Brancia. E’ il padre di Marco un ragazzo disabile che ha saputo combattere e rifarsi una vita. Con papà ha scritto un libro ("Non avevo le parole", Città Aperta) e attivato un blog: http://nonavevoleparole.blogspot.com.
Papà Umberto si sta dando da fare con altri. Il decreto, annota, “comprometterebbe la possibilità di inserimento al lavoro di tanti giovani che hanno superato l’handicap in un difficile percorso di riabilitazione, nella prospettiva di una piena integrazione nella società”. Le stesse imprese private sarebbero incentivate a sbarrare i cancelli. La Funzione pubblica Cgil è mobilitata. Un emendamento al comma 7 dell’articolo 17 del decreto anticrisi è stato presentato al Senato da quattro senatori del Pd Achille Passoni, Vidmer Mercatali, Giuliano Barbolini e Giorgio Roilo.

La storia di uno di questi disabili di cui ci si vorrebbe disfare è esemplare. E’ quella di Marco, il figlio di Umberto Brancia. Ora ha trent' anni. Aveva un mese quando si è ammalato di broncopolmoniti virulente, durate per quattro anni. Sarebbe morto avevano detto per due volte ai genitori. A sei anni ha cominciato ad uscire di casa. Ed ecco a scuola una nuova diagnosi di morte psichica: “autismo gravissimo”. Padre e madre non si sono dati per sconfitti. Lo hanno aiutato con un lungo percorso terapeutico, fino a portarlo al diploma. Oggi hanno diagnosticato a Marco la sindrome di Asperger: “una forma più lieve dell' autismo”. Marco, raccontano, ha svolto varie esperienze lavorative, tutte con tirocini gratuiti. Quello in corso, dopo otto anni, è al Ministero dei Beni Culturali.

Hanno dato vita, a Roma, ad un gruppo di dieci, quindici genitori con figli in tirocinio da dieci anni in altri enti. Sono diventati tutti volontari della comunità di Capodarco un'organizzazione non governativa di solidarietà.
Sono persone, giovani che non possono, non devono essere condannati all’inerzia. Umberto Brancia ha scoperto quattro anni fa che il figlio scriveva brevi poesie ed è nato quel volume "Non avevo le parole". E’ un dialogo sulla malattia tra un padre e un figlio. Leggo una recensione: “Viveva nel silenzio di un mondo tutto suo, parallelo a quello che gli passava davanti, senza riuscire ad agganciarlo in maniera stabile e proficua per costruire il ponte che gli permettesse di esprimere la sua identità, definendola. E solo nella prima adolescenza ha scoperto finalmente il mezzo di fuga dallo stato di isolamento: le parole”. Ora lo vogliono zittire come vogliono zittire tanti come lui.

da: http://ugolini.blogspot.com/ -Pubblicato da Bruno Ugolini, martedì,29 settembre 2009

Il lavoro, tra speranza e paura

Ho cominciato a far politica attiva a diciotto anni, nel 1966 e le sezioni di quartiere del partito comunista furono, per tanti motivi. il mio luogo di elezione. Per chi viveva nelle pieghe della periferia romana, era una scelta quasi naturale. Negli anni successivi, mentre studiavo Filosofia all’ Università, cominciai a lavorare in un ente pubblico: da precario ( si direbbe oggi ). Negli uffici grigi e sonnolenti di un palazzo del centro storico, imparavo a leggere una busta paga, a discutere di contratti di lavoro e a organizzare i primi scioperi di impiegati timorosi. Più che le mie parole, furono convinti a uscire allo scoperto dal passaggio sotto le nostre finestre dei grandi cortei operai del 1969. Osservavano incuriositi e stupefatti quei cortei come fossero la realtà di un mondo sconosciuto.


Il lavoro apre gli occhi sul mondo


I temi del lavoro divennero il centro dei miei interessi di vita. Il resto lo fece la lettura dei libri, obbligatoria in quegli anni per chiunque voleva tenere gli occhi aperti. Nel Pci simpatizzai subito per quella che più tardi si definì- con le consuete approssimazioni- la sinistra sindacale. Mi affascinava quel legame stretto tra i problemi pratici del mio lavoro, che seguivo con fatica e timore, e le grandi richieste di democrazia e partecipazione dal basso che circolavano nella società. Mi sembrava fosse possibile unire al grande movimento in corso nella società le ansie e le piccole virtù di una famiglia modesta come la mia.
In quel dibattito, in quelle riviste, imparai a conoscere nomi che sono già avvolti dall’ alone dell’ altro secolo e sono trascorsi appena trent’ anni! Ma un giovane di oggi farebbe fatica a capire il senso di nomi come Bruno Trentin, Vittorio Foa, Aris Accornero e tanti altri. Divenni un giovane militante del nascente sindacato del pubblico impiego, che cercava con generosità di far uscire gli impiegati da una annosa subalternità di taglio borbonico.
Ho ancora chiara nella mente, ad esempio, l’ emozione che suscitava nelle nostre fumose riunioni della CGIL a Piazza Vittorio l’ uscita dei Quaderni di Rassegna sindacale, in cui ritrovavamo non solo le questioni strettamente economiche, di categoria, ma gli interventi di scrittori, saggisti e filosofi. Ci affascinava insomma quella capacità di guardare oltre l’ orizzonte di categoria, ricercando un cambiamento del paese, che tenesse insieme tutti gli aspetti della vita civile. Noi balbettavamo con fatica problemi come la “ riforma degli apparati dello stato” o la “lotta agli sprechi”: quei dibattiti delle riviste sindacali ci infondevano coraggio, sembravano darci una direzione, aprire una strada.
Come sia andata, è storia recente e non vale la pena di parlarne qui. Ma la vita ha per gli uomini percorsi misteriosi.

Percorsi di vita, tra politica e privato

In un contesto sociale ormai lontano da quel mondo della mia gioventù, ho dovuto reincontrare - da un altro punto di vista - quei temi e quelle suggestioni. In queste ultime settimane, ho sentito come una sconfitta bruciante, uno schiaffo in viso la vicenda - ancora in corso - del blocco delle assunzioni dei disabili nelle pubbliche amministrazioni, deciso di da questo governo.
Tanti ragazzi come Marco, con problemi di disabilità lieve, sono da anni impegnati in periodi di tirocinio gratuito negli enti pubblici, senza nessun prospettiva di un’ occupazione decente. Tra le molte proteste che come genitori siamo riusciti a diffondere vi sono state quelle della CGIL del mio ministero e di altri posti di lavoro.Mi è venuto allora in mente che forse potevo cercare un aiuto sulla stampa: è’ il grande cruccio di ogni movimento di protesta: come arrivare ad un giornale?
Il primo nome emerso nella memoria è stato quello di Bruno Ugolini, che cura da tempo una rubrica sul mondo del lavoro per l’ Unità. Per chi ha vissuto tra gli anni settanta e novanta quella stagione del movimento sindacale, di cui parlo qui, Ugolini è una figura importante.
Redattore delle principali riviste sindacali di quel periodo, è stato autore di due libri- intervista a Bruno Trentin, di tanti altri volumi ( ricerche sulla storia del Pci, la condizione della donna e le trasformazioni sociali italiane). Ha seguito la storia del movimento sindacale e le condizioni del mondo del lavoro con un’ onestà e una passione critica esemplari.
Raccontando per l’ ennesima volta la storia di Marco, gli ho scritto ad una mail, trovata sul giornale, senza troppa speranza: conosco la vita interna dei quotidiani e delle riviste, dominata dalla velocità e dall’ affanno di far uscire l’ articolo del giorno dopo. Invece non solo ho ricevuto una risposta immedita, umana e disponibile, ma poco tempo dopo è uscito sull’ Unità l’articolo che trovate nel blog.
Le lacrime non sono mancate ed è inutile vergognarsene. Mi arrivava un aiuto insperato per una battaglia durata dieci anni, ma anche un’ eco amichevole da un passato che mi aveva formato l’ intelligenza e il cuore. Alla mia età, non è poco e quindi ne rendo grazie all’autore.

Per saperne di più

http://ugolini.blogspot.com

Fare il prete non è un mestiere

Il titolo provocatorio di questo bel volume di Laura Badaracchi richiama alla memoria una grande tradizione di pensiero teologico - filosofica su un tema decisivo: il rapporto tra il lavoro, la professione e la vocazione spirituale. Con l’ avvento della modernità la società si è fatta più complessa, come si usa dire, e la chiamata alla testimonianza di fede si è caricata di significati sociali e culturali ben definiti: il ruolo profetico, misurandosi con la concretezza della storia, si professionalizza, diventando - in qualche modo- mestiere. Le tensioni inevitabili di questo rapporto attraversano almeno gli ultimi quattro secoli.La Badaracchi si misura sull’ argomento sviluppando un’ analisi che alterna un’ acuto sguardo sociologico alla vivacità documentaria dell’ inchiesta giornalistica.
Gli elementi sociologici della condizione del prete oggi in Italia sono dibattuti da tempo e l’ autrice li espone senza timore di velare i dati, cercando di cogliere le tendenze in atto. C’ è innanzi tutto una crisi delle vocazioni, che determina una crescita della presenza di preti provenienti dal terzo mondo, e un invecchiamento medio che interessa tutte le diverse aree dei sacerdoti diocesani.Qualche esempio: “ .. A Roma città. su circa 500 preti diocesani che operano nelle parrocchie circa 80 provengono dai paesi del sud del mondo...Nella diocesi di Livorno.. quasi il 40% dei sacerdoti è ultrasettantenne: quasi 20 i preti stranieri, ma molti a tempo determinato…” ( p. 21- 22). Il quadro d’ insieme alterna i dati statistici, che comprendono anche un fenomeno come “ i ritorni”, alla descrizione illuminante dei problemi sociali ed etici alla base dell’ testimonianza del prete sui territori.

Le difficoltà di un cammino
Il volume offre così una gamma vastissima di esperienze umane e di percorsi biografici. Si va dai preti di frontiera impegnati in situazioni sociali al limite, come quelle infestate dalla camorra e dalla mafia, sino alla periferia delle grandi città metropolitane, ove si mescolano consumismo, degrado e solitudine. Si può dire in sintesi che - da un ventennio e più - tutte le contraddizioni della situazione sociale in crisi si stanno rovesciando con violenza sulla parrocchia e sulla figura del sacerdote.
I quartieri operai e popolari si affiancano così nel racconto a quelli borghesi e benestanti, documentando bene le ambiguità della testimonianza di fede nella dimensione della modernità.Le luci e le ombre in questi cammino di vocazione sono tutte presenti. L’ autrice ci ricorda come il bisogno di incarnare in silenzio la parola di Gesù Cristo si può affiancarsi alle deformazioni del “ carrierismo” o peggio.
Il libro di Laura Badaracchi rimarrà nel tempo come uno strumento necessario a comprendere le dinamiche del cattolicesimo italiano. Consiglio di integrarlo con un altro volume, uscito tempo fa, Fare Comunità di Vinicio Albanesi ( Redattore sociale, 2007). Il presidente della Comunità di Capodarco ricostruisce il cammino sociale e religioso di un gruppo che ormai da vari decenni è impegnato nell’ assistenza ai disabili e ai soggetti più fragili.
La sua riflessione mette a nudo un ‘altro tema, che aiuta ad inquadrare meglio la funzione del sacerdozio: la presenza di una comunità di credenti, impegnati a testimoniare la parola tra gli ultimi. Il vero nodo che caratterizza il ruolo sociale della fede oggi mi sembra proprio questo: l’essere comunità, o meglio il riuscire a fare comunità, nell’epoca dell’ individualismo diffuso.

Laura Badaracchi
Fare il prete non è un mestiere. Una vocazione alla prova
Edizioni dell’ Asino, Roma, 2009, p. 259, € 12,00

(Recensione uscita sul n. 10, Ottobre 2009, di Confronti)