" Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità" ( S. Paolo, 1° lettera ai Corinzi 13,1 )

sabato 11 dicembre 2010

Volontariato e terzo settore nella crisi sociale

Un' inchiesta in varie puntate sul mensile Confronti ha sondato nei mesi passati il rapporto tra volontariato e dibattito etico: soggetti diversi: politici interessati al sociale come Massimiliano Smeriglio e Augusto Battaglia, intellettuali e operatori di diverso orientamento culturale. Pubblico qui una sintesi delle conclusioni, in uscita sul prossimo numero.


Il fenomeno del volontariato e del terzo settore si afferma a meta degli anni ottanta, quando la crisi del welfare state e il crollo delle ideologie del socialismo reale aprono una nuova fase che alle classi dirigenti italiane ed europee appariva del tutto trasparente. Liberati i partiti dagli impacci burocratici dello Stato sociali, liberate le idee dai vincoli dei progetti globali e ideologici, la società si avviava ad uno sviluppo razionale, fondato su due pilastri, che oggi possiamo vedere più criticamente: un' idea darwiniana del mercato e una riduzione delle idee e dei sistemi di valori all' empirismo delle opportunità.
I temi drammatici della povertà, dell'emarginazione ecc. erano letti come fenomeni residuali di uno sviluppo assunto come neutrale. In questo universo compatto, frutto di un'ideologia opaca, il terzo settore si colloco negli anni novanta con alcune parole d'ordine positive, che cercavano un confronto con la politica, la cultura e le chiese: diritti di cittadinanza, inclusione, nuove povertà. In alcuni settori come la salute, l' immigrazione, la disabilità, ecc. il volontariato cominciò a svolgere funzioni di supplenza per interventi che la mano pubblica non riusciva più a portare avanti. Il sociale divenne occasione di impegno etico e poi di lavoro per migliaia di giovani, ma anche uno strumento di scambio politico ( con effetti non positivi a medio termine).


Tra crisi delle ideologie e emergenze sociali


Si inserirono in questo flusso settori del mondo cattolico che guardavano al sociale come luogo di una rinnovamento radicale della società: si pensi alla figura di un precursore come Mons. Luigi Di Liegro. Nel febbraio del 1974, Don Luigi aveva stimolato un' iniziativa, che fu all'origine di molti dei cambiamenti successivi: il famoso convegno sui mali di Roma: "La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma" , che evidenziò le ingiustizie sociali della capitale , insieme a coloro che ne erano stati responsabili.
In un processo più che decennale si aggiunsero militanti provenienti dalla crisi dei partiti storici e gruppi delle chiese protestanti italiane, che per ispirazione guardavano alla presenza sociale con sguardo forse più libero, potremmo dire “ europeo”. In sintesi, l' intento era duplice: progettare nuove soluzioni per alcuni drammi sociali e imprimere un profondo rinnovamento a tutta la comunità nazionale. Il terzo settore voleva insomma contare di più nella progettazione delle politiche sociali, e quindi nella vita collettiva.
Ma che cosa offriva questo mondo in cambio della propria richiesta di cambiamento sociale? Con una battuta sintetica, potremmo dire il lavoro. Con la crisi della grande fabbrica, si diffuse la convinzione che la sfera dei servizi alla persona e della tutela dell'ambiente fosse l’unica in grado di fornire in futuro una quota significativa di nuovi posti di lavoro. Ad una condizione - però- che non si verificò mai: un' adeguato sostegno pubblico.
Questo movimento complesso, che attraversava partiti, associazioni e chiese, registrò nel dibattito politico già alle soglie del 2000 una battuta d' arresto e un oscuramento Da un lato, sulla scia dei cambiamenti nelle forme di povertà e di emarginazione, il volontariato è stato costretto a specializzarsi. Ricorda Giuseppe De Rita: “.. Più si dilatano e frammentano i disagi sociali, più si professionalizza, settorializza e si tecnicizza l' intervento sociale” (AA.VV. Terzo settore: la fine di un ciclo, Edizioni dell'asino, 2010, p.31).
In questa settorializzazione si è depotenziata inevitabilmente una dimensione originale del volontariato: lo spirito comunitario e le istanze di progettazione e riforma sociale. Per paradosso, la crisi in corso, che investe il sistema economico, riporta ora al centro dell'attenzione la questione del sociale, con tutte le sue peculiarità originarie. Si diffondono in Italia ( e in tutta Europa) tendenze evidenti verso una vera e propria regressione civile all' interno di snodi importanti della vita collettiva.


Rischio di regressione civile


Basti indicarne almeno tre, che toccano da vicino la vita quotidiana delle persone. Il primo è la contrazione del lavoro: l' introduzione di nuove tecnologie nell' industria non provoca affatto un aumento di possibilità di impiego nel settore dei servizi alla persona, senza l' intervento di politiche pubbliche. Queste vengono considerate impossibili dai governi dei governi di centrodestra ( ma anche da quelli di segno opposto), a causa degli alti deficit pubblici. Pagano il prezzo di questa scomparsa delle occasioni di lavoro i giovani, ma anche categorie fragili come i disabili e i migranti. Si tende ad ignorare la quantità di spesa pubblica dirottata verso l' economia criminale, i parassitimi o le spese militari ( e il terzo settore lo ricorda spesso ma senza grande ascolto).
Un secondo aspetto è quello della convivenza nelle grandi metropoli tra cittadini italiani e extracomunitari. La precarizzazione del lavoro e il collasso di alcune agenzie collettive ( partiti, associazioni, sindacati) spingono segmenti ampi del mondo popolare verso un plebeismo razzista e una ghetizzazione rissosa. La metropoli si struttura sempre di più come un luogo di solitudini, marginalità e violenze crescenti, più diffuse ora che negli anni settanta. I partiti populisti e xenofobi vincono in Italia e in Europa, cavalcando questi temi.
Spesso non si tratta solo di una emarginazione economica: nelle periferie urbane circola, grazie alle nuove forme dell' economia criminale, una grande quantità di danaro. E' piuttosto un misto di degrado sociale, di povertà culturale e di consumismo esasperato., già descritto con feroce amarezza sociologica Walter Siti, nel suo romanzo sulle borgate romane “ Il contagio” ( Mondadori, 2008)
A questi due componenti ne va aggiunta una terza, che gli studiosi di politiche sociali conoscono da tempo. L' allungamento delle aspettative di vita produrrà una trasformazione impressionante della composizione sociale: secondo alcune statistiche, nei prossimi venti o trent'anni, gli ultra 65 - enni raggiungeranno il 35% degli abitanti di cui 7-8 milioni avranno più' di 80 anni e 2 milioni più' di 90. E' una mutazione radicale che avviene dinanzi ad una crisi verticale dei bilanci pubblici.


Una crisi di sistema


La dimensione dei problemi in gioco investe quindi tutti gli aspetti della convivenza collettiva. Solo un cenno ad un' altro nodo che circoscrive e condiziona tutti gli altri: la crisi ambientale che imporrà comunque una riconversione dell'economia dalle proporzioni immani ( e le difficoltà recenti del presidente Obama stanno li a dimostrarlo).
Le questioni agitate dal terzo settore riguardano quindi una dimensione di sistema che interroga dappresso le organizzazioni sociali, le chiese e i movimenti d' opinione. Molto meno la sfera delle istituzioni politiche, che sembrano misurarsi sul governo dell'emergenza, quando non inseguono le paure sociali.
Ha scritto Wolfang Sachs: " ..Il problema non è il cambiamento della politica, bensì il cambiamento civile e profondo che è possibile soltanto trasformando noi stessi. Deve essere un movimento più interno alla società che alla politica. In questo modello di cambiamento sono basilari le minoranze che propongono nuove pratiche, linguaggi, sensibilità e poi elaborano opzioni che magari per tanto tempo rimangono al margine e che però diventano centrali quando subentrano shock esterni" ( Terzo settore, cit. p. 46)
Merita attenzione la formula usata da Sachs: si tratta di un cambiamento che è possibile soltanto "trasformando noi stessi". E' una prospettiva che la riflessione religiosa e quella filosofica conoscono molto bene: rimanda ovviamente ad una domanda - lucida e non ideologica- di progettazione del futuro. Non a caso i soggetti più inquieti del volontariato e dell'associazionismo cristiano insistono con urgenza sul tema degli " stili di vita" da mutare in ogni ambito ( pubblico e privato).
Esaurite le fumisterie di un banale pensiero unico, la durezza della condizione umana ci richiama ad una nuova stagione di ricerca e di responsabilità morale, di cui per ora si intravvedono alcuni barlumi.


http://confronti.net/

Racconti da una Bologna che non c'è più

Tempo fa ho pubblicato un post su Facebook con la canzone di Francesco Guccini, dedicata a Bologna. Tra le composizioni del cantauotore e scrittore emiliano, è una delle più belle. Vi sono state reazioni diverse, tutte di ammirazione e consenso. Credo non solo per il testo e la musica, ma anche perchè il tema della città, delle identità scomparse più ci tocca nel profondo per tanti motivi ( e spesso abbastanza inquietanti). Andrea Pancaldi ha scritto questo testo commosso che pubblico qui: credo che lo meriti sul serio.


Quella Bologna complessivamente non c'è più, anche se ne resistono pezzetti, scorci, vampate di odori, sia nella attualità che nei ricordi. Da un anno è morto Davide. Veniva mandato dal Sert in borsa lavoro al Centro documentazione. Il secondo giorno mi fregò 400 euro dalla borsa, un giorno entrò con in mano una siringa sporca di sangue, completamente fatto.
Ma ogni cosa ha un prezzo, tre anni dopo faceva il bibliotecario a San Patrignano, se anni dopo lo IACP gli aveva dato una casetta carina in centro,con giardino, viveva della sua pensione di invalidità e di una borsa lavoro a Bandieragialla dove teneva un blog. Da tanti anni ormai non si faceva più, uscivamo a cena, al cine e immancabilmente a dire stupidaggini. Così mi è venuto da ricordarlo su Bandieragialla. Si può trovare andando a : http://www.bandieragialla.it/node/6512
Perchè racconto questo: perchè dopo la morte di Davide è stato fatto un libretto ( Kartole, Morellini editore, offerta libera per un minimo di tre euro) che raccoglie scritti e ricordi di amici e tutti i "quadretti" che Davide aveva dipinto dei personaggi bolognesi anni '70-'80 e che ora non ci sono più.





Quella Bologna che molti citano.....dei servizi pubblici che funzionano, del buon governo, delle gente per strade e osterie - appunto - , dove le ragazze sono ...di più larghe vedute (le famose 3 T: tortellini, torri, tette che trovate ancora in qualche cartolina dalle tabaccherie in centro).....in larga misura non esiste più....e l'ultimo sindaco decente è stato Guazzaloca eletto nel centro destra.
Ma qualcosa di interessante lo sforna ancora. Bologna è piena nel sottosuolo di canali e fiumi che scorrono all'insaputa di tutti. Io da ragazzo abitavo in via del Porto, dove esisteva il porto fluviale da cui si arrivava, tramite il Reno e il Po, fino al mare.


Per saperne di più
www.amicidelleacque.org
www.vitruvio.emr.it
http://www.facebook.com/group.php?gid=48170063107
http://www.youtube.com/watch?v=Jns_jbLn68A
http://www.youtube.com/watch?v=s_edEszMAp0

venerdì 10 dicembre 2010

Ugo Lanzalone:un poeta alla Casa del popolo

Mercoledì 15 dicembre, dalle ore 20.00 sino alle 23.30, in via Castelforte 4 - a Roma, presso la Casa del popolo "Giuseppe Di Vittorio", verrà ricordato la figura e l' opera di Ugo Lanzalone da coloro che ne hanno amato le opere e il carattere. A me è capitato di conoscerlo: ripubblico un breve ricordo scritto al momento della sua morte.


Ho conosciuto Ugo Lanzalone quasi cinque anni fa, nel circolo del Partito della Rifondazione Comunista di Via Castelforte n. 4 e nella Casa del Popolo “Giuseppe Di Vittorio”.L' incontro avvenne durante le nostre serate di lavoro politico: quelle importanti delle assemblee pubbliche e quelle più ripetitive e vuote dei giorni normali. Conoscevo bene la crisi più che decennale degli spazi sociali e della vita politica dei partiti storici: la discussione intorno a questa crisi si arrovellava ogni volta i rapporti umani, tra passioni e furori consueti nella storia recente della sinistra.
Ancora prima della sua formazione intellettuale, mi colpirono subito alcuni tratti del carattere di Ugo Lanzalone. Non amava i toni urlati: ironico e discreto, riusciva ad ascoltare con pazienza anche i ragionamenti per lui meno convincenti. Pur non rinunciando mai ad una battuta fulminante, Ugo sapeva rimanere in silenzio ad osservare e ne capii presto il motivo profondo.
La sua non era borghese tolleranza. Voleva capire, riflettere insieme e solo alla fine convincere. Il suo approccio pedagogico, che coincideva in parte con il mio, lo spingeva a porre domande più che a dare risposte. Tentava il dialogo con tutti sapendo bene che la condizione della sinistra era tragica.


Le ustioni della realtà


Non si creda che fosse incline all'eclettismo, alle analisi facili. Aveva invece –lo capii più tardi- un quadro rigoroso di riferimento: quello del marxismo critico della nuova sinistra degli anni settanta: quel pensiero aveva dato i suoi frutti migliori tra il 1968 e la fine degli anni settanta. Parole come “ partito”, “ classe”, “socialismo e comunismo” assumevano per lui i contorni generali di concetti interpretativi del mondo, sintesi complessive senza le quali la realtà non si comprende.
Credo che diffidasse del mio approccio più empirico alle questioni politiche quotidiane: con gli anni il mio orizzonte culturale è divenuto sempre più quello dell'umanesimo della tradizione socialista, del solidarismo cattolico o della sociologia americana sui poveri. Tutte idee abbastanza lontane dai concetti che affascinavano Ugo. Lui sapeva esprimere il suo dissenso con l' argomentazione razionale, con uno sguardo perplesso e un' aggettivo sarcastico: mai con l' aggressione.
Quando presi tra le mani Ustioni (Manni,2005), uno dei libri di poesie di Ugo, capii meglio gli aspetti più profondi della sua personalità schiva, percorsa da umori dolorosi e segreti. Nei suo versi ritrovavo alcuni temi decisivi della tradizione poetica italiana degli anni sessanta. La polemica spietata contro i valori dominante della borghesia (il consumo, il potere,la guerra) si alternava con versi disincantati sull'amore e la solitudine privata. Nella sua visione radicale, l' ipocrisia collettiva contamina i rapporti dei singoli, lasciando gli uomini in una condizione di miseria e di infelicità, che solo la poesia può riscattare descrivendola in immagini.
Esemplari questi pochi versi: “ Nessuno più interroga gli oracoli di Delfi: / Socrate tace / e non beve più la cicuta./ Gli uomini nelle poltrone /cercano con un telecomando /chi gli dica la loro menzogna". Nel mondo poetico di Ugo, questo rigore etico non era mai un presupposto predicatorio, ma nasceva da un lungo lavoro di scavo sulla parola. Esprimeva un' animo tormentato dai fallimenti delle lotte politiche, vissuti con una passione estrema, e ferito nell' intimo dai dolori quotidiani dell'esistenza.

La memoria che aiuta



Ugo Lanzalone sapeva che i movimenti poetici e culturali degli anni '70 si erano impegnati in una grande scommessa: che si potesse insieme “ cambiare la propria vita e cambiare il mondo”. Questa simmetria generosa non aveva trovato una verifica concreta e la poesia si piegava sullo scacco di una generazione, senza compiacimenti, per capire, per trovare nuove fessure in una realtà opaca. Occorreva gettare nuovi ponti e aprire nuove strade verso un' altra realtà possibile.
Ripercorrendo la sua figura, due riferimenti importanti vengono alla mente: quelli di Franco Fortini e di Pier Paolo Pasolini. In quella stagione della poesia italiana si è cercato di coniugare insieme il bisogno politico di riscatto degli umili con la capacità formale della poesia di produrre immagini allusive ad un “altro da noi”.
Potrete ritrovare sempre nei versi di Ugo Lanzalone questa varietà di temi e suggestioni qui appena accennata. A me e a tanti noi, che l' hanno conosciuto, mancheranno il disincanto gentile e il valore della sua umanità, perduta troppo presto.
I poeti amati da Ugo ci fanno capire un' altro dato importante: la memoria e la riflessione critica aiutano a sopportare meglio la condizione di solitudine orrenda che oggi sembra sommergerci tutti.

giovedì 9 dicembre 2010

Non sarà che gli autistici siamo noi ?

Rizvan Khan è un bambino musulmano che nell'India di oggi vive tutte le contraddizioni sociali e culturali del paese, ma ne ha una in più che gli complica la vita: è affetto sin dalla nascita dalla Sindrome di Asperger, una variante lieve dell'autismo che colpisce la sfera delle relazioni sociali, lasciando intatta l' intelligenza.
Una madre religiosa e sensibile lo educa a principi semplici, ma eterni: non esistono differenze tra gli uomini, né religiose, né intellettuali, ma vi sono solo persone buone e cattive. Dopo la sua morte, il fratello - emigrato con successo negli Stati Uniti- gli trova un lavoro come rappresentante di prodotti cosmetici.
Qui Khan conosce Mandira Rathore, una donna single di religione indù: con le movenze strambe e lunari degli Asperger, Khan si innamora della ragazza e forma con lei una famiglia felice, stabilendo con il figlio della donna un rapporto di grande amicizia. Ma l'11 settembre 2001 modifica drammaticamente la loro vita. Spaventato dall'isteria contro l' Islam, Khan si mette in viaggio per dire al Presidente degli Stati Uniti : "Il mio cognome è Khan,ma non sono un terrorista". Finirà in modo del tutto inaspettato.


Forrest Gump in India


Di fronte ad un film come Il mio nome è Khan, diretto da Karan Johar, è abbastanza istintivo sbrigarsela con giudizi facili: un film commerciale, frutto del gusto popolare che caratterizza le produzioni di Bollywood, ormai entrate nel mercato globale. Il film è coprodotto con Rupert Murdoch e echeggia alcuni tratti di un celebre modello americano come Forrest Gump.
In realtà, a meno di non rinunciare a vedere l' ottanta per cento delle opere proiettate nei cinema ( o forse di più), occorre adottare altri occhiali, quando è necessario. La storia di Khan, meccanico provetto e d' animo generoso, ha diversi aspetti che suscitano interesse. Mescola con freschezza popolare due temi decisivi per la vita di tutti: la convivenza tra le fedi religiose e la condizione dei disabili in una società intollerante. La narrazione procede per segmenti che alternano il melodramma con la commedia sentimentale, aiutandosi con una colonna sonora fragorosa e coinvolgente.


Guardare al cuore delle persone


L'intonazione fiabesca alla Frank Capra, che traspare in un finale a sorpresa, mantiene una tonalità giustamente ironica: i buoni riescono a far trionfare le proprie convinzioni e il male per un attimo è sconfitto.
Il regista fronteggia il rischio del semplicismo e della banalità con l' innesto di un altro tema: l' handicap del protagonista. Memore degli insegnamenti della madre, Khan mette nel fronteggiare una società violenta tanto entusiasmo e coraggio da essere d' esempio per i cosiddetti “ normali”. La conclusione di questa vicenda insolita ce la danno ancora una volta le parole lasciategli dalla madre nell'adolescenza: impara a guardare al cuore delle persone.
Grazie alla bravura del protagonista, Shah Rukh Khan- il più importante attore indiano- si rimane incantati dalle camminata sbilenca e dallo sguardo alieno di un Asperger capace di gesti umani. La sua storia ha il merito di lasciarci nella mente un dubbio salutare: ma non sarà che gli autistici, inadatti a relazioni autentiche, siamo noi?


(In uscita sul prossimo numero di Confronti)

venerdì 26 novembre 2010

Frammenti da poesie di Yves Bonnefoy

Un Dio
Qui giace un dio che non avrà capito
Più di noi...
E che morì senza aver fatto uso
Dei suoi poteri, in ciò a noi vicino.
Uno che mai smise di stupirsi d' essere
come lo facciamo noi, nei nostri giorni estremi.





Le nuvole

Le cose nel bagliore del lampo si radunano
Come in un luogo d' origine, e i sentieri
Risplenderebbero nei giardini del lampo, la bellezza
Vi porterebbe i suoi passi erranti..
Io dico il sogno,
Ma è solamente
Per il riposo di ferite parole.



Il volo

Nessuno gli avrà mai lavorato vicino
Nell' officina che sostituì la vita.
Risale, nelle parole che dicono il mondo,
Il suo silenzio, che le nega, che mi chiede
D' immaginarne altre, ma non posso.
Nessuno ha posato lo sguardo su di lui.
Quel che avrebbe potuto essere non sarà
La parola non salva, talvolta sogna"



(da Yves Bonnefoy,L' opera poetica, Mondadori, 2010)

martedì 23 novembre 2010

Più libri più liberi, Roma, 4-8 dicembre 2010

" ..Bisogna saper cercare, ma chi visita la fiera si può aspettare di trovare risposte argomentate alla crisi di sistema che stiamo vivendo.Può trovare libri per ragazzi di rara bellezza come quelli dell’editore Orecchio Acerbo. Ma soprattutto può entrare in contatto con il mondo dei lettori e degli autori che sempre più spesso si organizzano di propria iniziativa per scambiarsi consigli e letture".
Ha ragione Gioacchino de Chirico nel suo commendo di oggi, sul Corriere della Sera, che preannuncia la prossima apertura della Fiera della piccola e media editoria, Più libri più liberi.
Questa manifestazione è divenuta da anni uno spazio prezioso che riunisce, in un clima di caotica socialita,lettori appassionati ed editori indipendenti.Non è poco in un periodo di trasformazioni vertiginose dell' industria dei contenuti, che assumono ormai una dimensione globale ( basti ricordare il recente arrivo della versione italiana di Amazon).




Il programma della Fiera


La Fiera si svolgerà dal 4 all'8 dicembre al Palazzo dei Congressi di Roma. Nonostante la crisi del libro, la nona edizione è tutta nel segno più:cinque giorni anzichè quattro come nel 2009, 430 editori, quindici in più dell'anno scorso, con 115 case editrici in lista d'attesa. Oltre 300 gli incontri in programma e oltre 700 gli scrittori e i protagonisti della cultura italiana e internazionale.
Nel giorno d'apertura sarà ricordata Elvira Sellerio, morta il 3 agosto di quest'anno, come simbolo di cosa può fare l'editoria intelligente e sarà ospite André Schiffrin, il guru dell'editoria indipendente. Tra gli altri ospiti dell'unica fiera nazionale in Europa dedicata esclusivamente alla piccola e media editoria ci saranno Muriel Barbery,Luis Sepulveda, Boris Pahor, Howard Jacobson, James Hansen.
Ospiti poi Sandro Veronesi(4 dicembre), Andrea Camilleri(4 dicembre),Stefano Benni(4 dicembre). E poi tantissimi appuntamenti con l'approfondimento e lo spettacolo che vedranno susseguirsi in Fiera ospiti come Lucio Dalla, Margherita Hack, Vito Mancuso, Serena Dandini, Miriam Mafai, David Riondino, Faso, Giulio Cavalli, Massimo Fagioli, Tullio De Mauro, Moni Ovadia, l'Orchestra di Piazza Vittorio, Lillo Petrolo, Eugenio Bennato, Simone Cristicchi, Andrea Mingardi, Pablo Echaurren, Edoardo De Angelis, solo per citarne alcuni.

Ragazzi, ambiente e inziative professionali



Spazio anche al ricco programma dedicato ai ragazzi, tra presentazioni,laboratori, spettacoli e tre mostre d'illustrazione, oltre che per Più libri junior Storie che fanno Eco: il progetto che premia i migliori racconti sui temi ambientali proposti da ragazzi tra i 9 e i 14 anni.
Rapidi seminari e tavole rotonde caratterizzeranno il programma dedicato ai
visitatori professionali che avrà come filo conduttore il profilo dell'editore del futuro partendo dalle tendenze che emergono nei nuovi dati Istat 2010 sulla lettura in Italia (4 dicembre ore 15) e sul mercato 2010 (in particolare per i piccoli e medi editori) con l'indagine NielsenBookScan (5 dicembre ore 15). Tra i tanti approfondimenti un'attenzione particolare verrà rivolta al fenomeno e-book mettendo a confronto le varie piattaforme (6 dicembre) per analizzarne caratteristiche ed opportunità.
Ogni giorno poi, nello spazio del DigItal Cafè dalle 17, un appuntamento per conoscere da vicino i protagonisti dell'innovazione digitale che racconteranno la vita, l'arte, la letteratura, la politica nell'era diInternet.Infine, per la prima volta a Più libri più liberi, la rassegna cinematografica Editori in bianco e nero (ogni giorno alle 19) dedicata al mondo del libro e dell'editoria e ai suoi protagonisti.


Il programma dettagliato della Fiera è consultabile su
http://www.piulibripiuliberi.it/.

sabato 20 novembre 2010

Una libreria apre. Un buon augurio per tutti

In un paese in cui la lettura registra tassi di crescita minimi e si discute su come aumentarli, quando nasce una nuova libreria è sempre una festa per la cultura. Quindi è da salutare con piacere l' apertura di una nuova Libreria Rinascita a Roma, che è si svolta il 20 novembre, nella cornice elegante della Roma umbertina, in zona centro storico (Via Savoia, n. 30).
Una folla allegra e interessata ha curiosato per un ' intera serata nei nuovi locali, dai colori caldi e accoglienti: non erano solo intellettuali e politici romani, ma anche famiglie con bambini che correvano a cercare gli autori e le storie più amate in uno spazio-laboratorio graditissimo. L' intento degli organizzatori è chiaro e condivisibile. Si vuole realizzare uno nuovo spazio che serva non solo alle tradizionali presentazioni di libri, ma anche a concerti e ad altri eventi mediatici.
Nell'epoca dell'industria dei contenuti e dei grandi megastore, la promozione culturale è ormai una tecnica complessa e sofisticata. Il libro può divenire un oggetto di interesse per il consumatore se penetra dentro i meccanismi profondi dell'immaginario moderno. Non a caso tra le prime offerte previste a Via Savoia vi è la disponibilità di supporti multimediali disseminati per la libreria, con la connessione WiFi che permetterà un contatto continuo con altri ambiti di vita (lavoro e studio).


In una grande città come Roma, che ha estremo bisogno di una vita culturale articolata e pluralista, il successo di una libreria come questa andrà sostenuto con convinzione. Un dibattito più che decennale segnala la necessità urgente di difendere i piccoli editori e l' editoria indipendente, nell' epoca delle grandi concentrazioni.
Ce lo ricordano autori come Giovanni Solimine o André Schiffrin, che ha dedicato proprio a questo tema il suo ultimo libro, in uscita in questi giorni da Voland ( Il denaro e il potere, 2010)
Le preoccupazioni di saggisti e politici democratici sono molte. Per questo, tanti auguri alla nuova Libreria Rinascita e al coraggio di chi affronta il mare aperto della promozione editoriale.

Per saperne di più



http://rinascitaonline.it/
http://tysm.org/?tag=voland
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/11/18/libri-il-sorpasso-del-megastore-calano-le.html

martedì 16 novembre 2010

Uomini di Dio

Nel 1996, una comunità di monaci benedettini svolge la propria missione in un piccolo monastero cirstercense in un villaggio dell' Atlante algerino. Fedeli ad una pratica cristiana rigorosa e solidale, i monaci intrattengono con la popolazione di religione islamica un rapporto di serena collaborazione, malgrado le tensioni politiche e religiose che agitano la regione. Non solo svolgono una attivistà di assistenza sanitaria, ma vivono i problemi quotidiani di quella comunità. Si veda, tra le altre scene, il dialogo ironico e umanissimo tra uno dei religiosi e una ragazza sul tema dell'' amore.
Minacce di guerra
Ma la minaccia del fondamentalismo e di una guerra dalle origini oscure, che in Algeria provocò migliaia morti, si fa mano a mano più vicna e incombente. Si apre per i religiosi una fase durissima che imporrà scelte dolorose. L'esercito viene a presidiare il monastero e l'abate della comunità, dopo una difficile discussione con gli altri fratelli, decide di rifiutare la presenza dei soldati, trovando qualche opinione contraria. Poi un gruppo di terroristi penetra nel convento chiedendo un aiuto medico per dei militanti feriti. Di qui tutti gli interrogativi – religiosi e morali – che si possono immaginare sino ad un epilogo tragico.
Il regista francese Xavier Beauvois racconta in Uomini di Dio ( 2010) la vicenda autentica di sette monaci francesi , sequestrati e poi uccisi nel maggio di quell' anno. Non era facile, come si usa dire in questi casi, sfuggire alla tentazione della prospettiva agiografica e predicatoria. Beauvois ha lavorato sopratutto sui tempi narrativi, e quindi in sede di sceneggiatura. La narrazione è scandita dal rapporto tra le vicende del convento e quelle del mondo esterno. La vita dei monaci si svolge tra i riti, le preghiere e i canti che danno al film una tono solenne, di una religiosità intensa e semplice.
I profili psicologici dei diversi membri sono del tutto privi di retorica: siamo di fronte ad uomini concreti, con le debolezze e le paure di ogni altro essere umano.
Un invito al dialogo
Al tempo interiore, fatto di silenzio e ascolto, si contrappone quello del mondo esterno: violenza e impossibilità di un dialogo tra diversi. Il film è politicamente preciso nel delineare le diverse componenti di una guerra civile con molte ambiguità politiche. Negli anni successivi emersero anche su questa strage sospetti e complicità.
Da un lato, l' esercito governativo contrapposto a un gruppo integralista, descritto con efficacia realistica, ma un po' di eccesso melodrammatico. Dall' altro vi è il pudore amichevole del villaggio che considera il convento parte della propria vita quotidiana.
Da questa vicenda poteva uscire un invito ad esaltare la superiore maturita della cultura occidentale e della religione cristiana rispetto ad un mondo islamico dipinto come violento e inferiore. Xavier Beauvois ci offre invece una riflessione etica sulla difficoltà interiore di fare le scelte giuste in un mondo dominato dalla follia e dalla morte. Il film è un invito alla responsabilità etica e al rispetto reciproco. All' uscita, rimangono nella memoria le parole di un religioso: " Non ho paura dei terroristi, ancora meno dell'esercito e nemmeno della morte, sono un uomo libero".


(in uscita sul mensile Confronti)




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lunedì 1 novembre 2010

Uscire (subito) dall'apatia

L' articolo di Goffredo Fofi, tratto dalla consueta rubrica settimanale "La domenica degli italiani", su " L' Unità " (31 Ottobre 2010, merita di essere rilanciato per due motivi: descrive in sintesi lo stato attuale della crisi italiana e segnala con urgenza la necessità di un impegno in quell' ambito sociale e culturale, da cui dipende un' uscita vera da questo pantano.


Per chi vuole avere notizie dell' atmosfera culturale degli anni sessasnta, si veda la bella intervista a Luca Baranelli su "L' ospite ingrato", una tra le migliori riviste on line italiane.
http://www.ospiteingrato.org/Sezioni/editoria_e_industria_culturale/Baranelli.html


Non ho mai ritrovato un agile “libro bianco” dell’Einaudi dei primissimi anni sessanta che si intitolava Uscire dall’apatia, ma ne ho un ricordo molto preciso. Lo aveva messo insieme E. P. Thompson, grande storico e gran personaggio della sinistra inglese, con l’aiuto di Peter Worsley, l’autore di un mitico saggio sul risveglio del terzo mondo, La tromba suonerà (che aveva fatto pubblicare Panzieri sempre da Einaudi) che vi scrisse degli effetti delle lotte anticoloniali sull’Inghilterra. C’era ancora nel libro il saggio di non-ricordo-chi sul modello di società consumista che andava allora affermandosi, eccetera, ma me ne piacque soprattutto il titolo: un invito al risveglio delle coscienze e alla ripresa di un discorso di sinistra che veniva dopo gli anni della guerra fredda.

Fine di un trentennio


È passato tanto tempo, e quel titolo ha ripreso a ossessionarmi e a sembrarmi attualissimo dopo il trentennio del sonno delle coscienze che ha portato alla morte della sinistra, il trentennio berlusconiano in cui un po’ tutti si sono lasciati irretire, anche i presunti oppositori e in particolare una intellighenzia che mai, neanche sotto il fascismo, è stata forse altrettanto cedevole e complice nei confronti dello stile di vita e di pensiero dominante, chiacchiere a parte. Mi pare un bellissimo titolo e qualcosa di più, una parola d’ordine per il nostro presente. Il periodo delle vacche grasse, della immensa truffa globale della “new economy” e della nuova finanza si è chiuso – e la crisi cresce e dilaga, né si vedono in giro delle realistiche possibilità di frenarla.
La scelta delle classi dirigenti, dei super-ricchi che il trentennio ha prodotto, di un’oligarchia oscena e infame è chiaramente quella di non pagare un soldo per i danni da essa prodotti, e anzi di far pagare i costi della crisi ai proletari, ai poveri e a un ceto medio che vede amaramente punita la sua dabbenaggine e la sua avidità. Accade in Inghilterra, in Francia, in Spagna, in Italia, e finirà purtroppo per accadere di nuovo anche negli Usa, non accade, forse, in poche roccaforti del vecchio sistema economico, e non accade nei paesi emergenti che stanno inventando il futuro e che presumibilmente lo domineranno.

Un vero esame di coscienza


Se è vero che il trentennio è finito e si è aperta una nuova fase, per entrarvi non da schiavi è assolutamente necessario “uscire dall’apatia”, è questo la sollecitazione pressante da rivolgere a chi ancora crede nei valori di giustizia e solidarietà e non si è lasciato castrare dai modelli egoistici, corporativi e magari mafiosi degli anni delle vacche grasse. Ma come possono “uscire dall’apatia” quelli che hanno rinunciato a pensare e hanno affossato, appena ieri, in sé e negli altri, il super-io sacrosanto che determinava una scelta di campo di sinistra, legata non solo al grande tema dei diritti (male usato dai teorici e politici che puntavano solo su quelli) ma anche a quello dei doveri verso chi ha meno, chi soffre, chi è schiacciato, chi è piccolo, chi è “straniero”, e perfino chi davvero produce, chi si preoccupa dei figli e del futuro e dei figli dei figli e ancor avanti?
E’ solo attraverso un grande esame di coscienza che questo potrebbe avvenire, ma non mi pare che nessuno, tra i politici e gli intellettuali e affini della defunta sinistra, abbia voglia di farlo. Però non è di loro che bisogna preoccuparsi e occuparsi, bensì dei nuovi, di quei giovani che si sono affacciati alla comprensione del mondo negli ultimi tempi, fratelli minori di coloro che hanno venduto la loro intelligenza e la loro curiosità e la loro generosità per il piatto del facile consumo pre-matiscato dai padroni del mondo e dai loro servi e pubblicitari, per una idea di cultura in stile Dams, per l’illusione di essere nel flusso di un domani perennemente affluente e godereccio.

Non fidarsi


Dovessi consigliare a questi nuovi di chi non fidarsi mi viene in mente il vecchio slogan del movement americano: «Diffidate di chi ha più di trent’anni». Ma credo che i più svegli tra loro, e cominciano a essere parecchi, sta già capendo benissimo di chi non fidarsi, e cioè dei “propagandisti”, dei pubblicitari di destra di centro di sinistra che hanno dominato il trentennio, ben protetti dell’oligarchia e dai suoi emissari. Direi loro, però, di prestare molta attenzione, oggi, a quella parte minoritaria del sindacato e della chiesa che ci va offrendo gli unici esempi di resistenza al modello che ha dominato e domina ancora ma che, a causa della crisi, ha perso la sua credibilità se non tra i più gonzi e addormentati. “Uscire dall’apatia” è un invito che nessuno dei trionfatori dello scorso trentennio sembra in grado di recepire, ma qualcuno forse sì, e con loro i nuovi arrivati. La storia si rimette in moto anche qui, e bisogna affrontarla da svegli.


31 ottobre 2010

domenica 31 ottobre 2010

Poeti a Roma, in autunno

Venerdì 5 novembre alle 21.0 si apre la II sezione del “Festival d’autunno”, organizzato dalla Compagnia YAALED, c/o il teatro della scuola elementare "A. Saffi", Via dei Sabelli 1119,Roma (quartiere S. Lorenzo)


Si tratta di due doppie serate nelle quali si succederanno sulla scena gli stessi due spettacoli.Il primo spettacolo, a cura della Compagnia YAALED s’intitola “Queste porte perdute ricercando…” e si basa sull’opera poetica (a volte espressa in forma di canzone) di tre grandi poeti del ‘900: il gallese Dylan Thomas; il polacco Edward Stachura e il russo Vladimir Vysockij.
Probabilmente per ragioni legate ad una certa incomunicabilità fra mondo slavo-comunista e mondo occidentale, l’unico ad essere ben conosciuto da noi è Dylan Thomas. Eppure anche gli altri due furono, ognuno nel proprio paese, altrettanto leggendari; Vysockij era –ed è- famoso in tutto l’est Europa.
Stachura nasce poeta, ma a un certo punto pensa che forse se scrivesse canzoni e le cantasse riuscirebbe a raggiungere un pubblico molto più ampio.. Il suo stile di vita ‘on the road’ e il suo alternare penna e chitarra fecero di lui una sorta di mito durante gli anni ’70 e una vera e propria leggenda dopo la sua morte prematura.
Vysockij era anche un grande attore di teatro (faceva parte del mitico “Taganka” di Ljubimov) e di cinema che però ha scritto anche qualcosa come 600 canzoni che ha cantato soltanto in concerti clandestini. Al suo funerale c’erano circa due milioni di persone e la sua tomba al cimitero di Mosca è tutt’ora oggetto di culto.
Dylan Thomas fu solo poeta, ma le sue letture radiofoniche o anche dal vivo hanno una qualità e una forza impressionanti e danno l’idea di un’Arte estremamente viva e pulsante. Non a caso Bob Dylan ne adottò il nome..
Tutti e tre i personaggi incarnano perfettamente la figura del ‘bardo’: così i russi chiamavano Visockij (‘bard’); Dylan Thomas fu un grande innovatore, ma partì dalla più pura tradizione della poesia gallese. Anche Shakespeare è chiamato "il bardo"...
Per questo motivo abbiamo affiancato al nostro spettacolo l ’incontro con il Griot mandinga, a cura di Pape Siriman Kanoute, forse il personaggio più rappresentativo della comunità senegalese romana, Griot, musicista e mediatore culturale.
Il Griot è a tutti gli effetti una sorta di bardo, menestrello o giullare.
E’ una biblioteca vivente e fa da tramite fra il popolo e il potere, trasformandosi all’occorrenza in giornalista. E’ una figura eterna e universale, che trova i propri corrispondenti sia nelle figure già dette che in altre con lo stesso valore: l’Aedo; il Baul; l’Ashok..Siamo nel pieno regno di Orfeo: i confini fra poesia e musica sono -fortunatamente-molto incerti.. La poesia vera sa combinare magistralmente le sue tre principali componenti: suono, senso e immagine. E' questo aspetto a renderla l' "Arte delle Arti"!

mercoledì 27 ottobre 2010

PASSAPAROLA: Forum del Libro e della Lettura

Venerdì 12 e sabato 13 novembre si svolgerà a Perugia, presso l’Auditorium di Santa Cecilia, la settima edizione del Forum del libro e della lettura, promosso dalla Associazione Forum del libro e dall’Associazione Presìdi del libro, con il contributo della Compagnia di San Paolo e in collaborazione con la Regione Umbria e Umbrialibri.
Il titolo della settima edizione – Leggere per crescere – vuole richiamare l’attenzione sull’importanza del ruolo che la lettura riveste nella crescita di un individuo e di una comunità e quindi sulla necessità di promuoverla fin dall’infanzia.È immediato il forte impatto del tema, in grado di coinvolgere e interessare non solo gli operatori dell’editoria per bambini, e giovani adulti, ma tutti coloro che si occupano di editoria e lettura, e la conseguente valorizzazione delle esperienze compiute nei diversi contesti territoriali.
Il Forum si aprirà venerdì alle 16.30 con l’incontro Generazioni di Libri che avrà come protagonisti Goffredo Fofi, Marino Sinibaldi e Chiara Valerio. Tre diverse personalità, vite e, appunto, generazioni si racconteranno, sollecitati da Roberta Mazzanti, in un dialogo a tre voci sui libri della loro crescita e formazione.
Il pomeriggio continuerà alle ore 17.30 con la tavola rotonda Che fare? Le proposte degli operatori : un momento di riflessione in cui i diversi protagonisti del libro per l’infanzia e l’adolescenza si incontreranno per discutere progetti e idee per un sempre maggior sviluppo della lettura. Un dibattito proattivo che vuole rispondere alla domanda Cosa si può fare di più e meglio? e aprire a proposte concrete attraverso gli interventi, tra gli altri, dello scrittore Pierdomenico Baccalario, del fumettista Alexander Zograf e della direttrice editoriale di Giunti Beatrice Fini senza trascurare rappresentanze delle istituzioni, delle biblioteche e delle case editrici, coordinati da Silvana Sola.
Il sabato mattina -dalle 9 alle 13- si alterneranno, moderati da Marina Losappio e Riccardo Campino, interventi di scrittori, bibliotecari, insegnanti, rappresentanti delle istituzioni e di varie associazioni, che porteranno riflessioni ed esperienze dirette sul tema del Forum e in genere sui tanti, e creativi, modi di promuovere la lettura in Italia.
Dalle 15.30 alle 17.30 in Non si vive di soli sconti...quale legge per promuovere i libri? si farà il punto, ad un anno di distanza dalla tavola rotonda del Forum di Ivrea, sulla Legge del prezzo del libro in discussione in questi giorni al Senato: direttamente dalla VII Commissione Cultura, Franco Asciutti, Ricardo Franco Levi e Vincenzo Vita ne discuteranno con Simonetta Fiori di La Repubblica e con il pubblico di editori, rappresentanti di categoria, librai e bibliotecari presenti in sala.
A conclusione delle due giornate, a partire dalle 17.30 si tratterà un tema di grande attualità con l’incontro Un federalismo per la lettura?dedicato agli scenari che un eventuale federalismo porterà nei fondi erogati per la promozione della lettura. Ne parleranno, coordinati da Giovanni Solimine, l’Assessore alla Cultura della Regione Umbria Felice Bracco, il Presidente del Centro per il Libro e la Lettura Gian Arturo Ferrari e l’Assessore alla Cultura della Regione Toscana, Cristina Scaletti. Saranno presenti in sala amministratori e operatori pubblici e privati.
Il Forum si terrà a Perugia presso l’Auditorium di Santa Cecilia (Via A. Fratti 2). L’ingresso è libero fino ad esaurimento dei posti.


Per ogni informazione rivolgersi a
Simona Negretto
info@forumdellibro.org
tel. 349 8356531


www.forumdellibro.org

Guardare l' handicap con gli occhi di un padre

Da qualche anno si parla molto di editoria sociale, un concetto che rimanda a quell'insieme di autori e libri impegnati sul terreno della solidarietà, del rapporto con gli umiliati e gli offesi dalla nostra società. I temi li conosciamo bene e basta accennarli; poveri, anziani, disabili. Si tratta di saggi , ma anche memorie, testimonianze in presa diretta di chi prende la parola per raccontarsi.
Uno dei libri più intensi di questa produzione editoriale è sicuramente Con gli occhi di padre di Igor Salomone (Città Aperta, 2010), di cui è uscita da poco una seconda edizione. Siamo sin dalle prime pagine dentro le terribili difficoltà di un padre con una figlia disabile: pagine lucide e strazianti, per la capacità dell'autore di mettere in discussione se stesso e la propria vita, di scarnificarla sin nelle fibre più intime.

Inventarsi tutto per una figlia

Nel volume vi sono almeno due livelli di racconto. Il primo analizza rapporto del narratore – il padre - con la figlia Luna, una bimba affetta dalla sindrome di Angelmann, una grave malattia genetica “ ..Per mia figlia bisogna inventarsi tutto. E il novanta per cento di questo tutto non va bene. E non perché non le interessi: perché non è in grado” ( p. 46).
Questa condizione di estrema precarietà coinvolge ogni aspetto della vita : i rapporti familiari, la vita del quartiere, le vacanze. Salomone descrive a lungo come sia mutato la sua esistenza. Luna, come ogni figlio disabile, lo ha obbligato a guardare con occhi nuovi al rapporto con la moglie e il suo stesso padre. Come genitore deve lottare per imporre all'ambiente i diritti della figlia e costruire per lei un ambiente amichevole. Allo stesso tempo, in ogni minuto della giornata, deve rielaborare il rapporto diretto con Luna, con i suoi limiti fisici, ma anche con le emozioni che lei riesce a trasmettergli.
Qui si innesta un secondo aspetto, legato alla professione dell'autore, Salomone è un pedagogista con un lunga esperienza professionale. In pagine - bellissime per la chiarezza - il docente universitario smonta le sue categorie e i suoi pregiudizi; l' estrema debolezza della figlia lo costringe a fare i conti con i propri limiti, con la propria fragilità.

Una diversa visione del mondo

Ne esce, alla fine, con una visione diversa delle cose. Vi si mescolano' una certezza dei propri limiti conoscitivi e una dolente felicità: “.. Ho intravisto nelle maglie spesso lacerate dell'esperienza paterna, iniziata otto anni or sono, il senso, la gioia e la melanconia della mia paternità.”( p. 154)
Non si creda di trovare in questo libro facili certezze consolatorie. Sono presenti invece tutti gli interrogativi morali di una famiglia con problemi di disabilità. Sul destino: perché proprio a noi? Sul futuro : che cosa accadrà a mio figlio dopo di noi? Sino all'interrogativo più lancinante: l'amore.” ..Amarti significa costringermi a lasciarmi insegnare qualcosa sull'amore. Che è poi la ragione di quel capire per cui io vivo. Alla fine” ( p.128).
Per questi accenti definirei il libro come religioso, secondo uno dei significati etimologici del termine: guardare con attenzione, avere cura. Leggerlo cambierà anche il vostro modo di guardare il mondo.

( In uscita sul mensile Confronti)

Un bilancio del Salone dell' Editoria Sociale a Roma

Dal 22 al 24 Ottobre 2010 si è svolta a Roma la seconda edizione del Salone dell' editoria sociale. E' utile fare qualche considerazione  sull' importanza di un fenomeno editoriale abbastanza inusitato nel panorama dei festival di libri e di letteratura, oggi di gran moda. Ne potete trovare un' analisi seria e ben documentata nel volume: Rapporto sull'editoria sociale, che raccoglie anche dati quantitativi sulle riviste (Edizioni dell' asino, 2010, 5 euro).

Una produzione editoriale complessa

Almeno da un ventennio l' editoria dedicata al tema della solidarietà e delle questiono sociali si articola in tre settori fondamentali:
1) pubblicazioni accademiche, dirette a studenti  delle facoltà di psicologia e scienze sociali;
2) ricerche sociali autonome di sociologhi, scrittori, ecc. con un carattere generalmente  " militante", per usare un termine ambiguo, che serve per capirci;
3) memorie e racconti di chi usa la scrittura per documentare in prima persona situazioni di disagio. In quest' ultimo caso si tratta  di libri- inchiesta giornalistici (non sempre meditati) o di vere e proprie autobiografie;
4) c' è infine un settore nuovo- quella del cinema- che ha avuto ultimamente un forte aumento : oltre alle opere di finzione, è evidente un forte interesse per il documentario sociale da parte di registi giovani, desiderosi di leggere il disagio.
Questi due ultimo settori si stanno ampliando, sia perchè corrispondono ad un bisogno reale di esprimere storie e bisogni personali, sia perchè le tecnologie digitali abbassano ormai i costi di realizzazione. L'editoria sociale ha avuto sin ad oggi un carattere diffuso, fortemente frammentato, che riflette  le peculiarità del mercato italiano: bassi indici di lettura, pochi grandi gruppi editoriali, e molte piccole case editrici, senza possibilità di distribuzione nazionale.

Il terzo settore e la crisi economica

La crisi ha aggravato questa situazione spingendo tutti a cercare aggregazioni e nuove forme di promozione e distribuzione. Alle difficoltà economiche si aggiunge un aspetto politico- culturale altrettanto serio. Il terzo settore, e l' insieme del mondo del volontariato, si trovano ad affrontare anch' essi le trasformazioni prodotte dalla crisi: diminuzione dei contributi pubblici, nuove povertà ed emarginazioni, a cui sembriamo ormai rassegnati e indifferenti.
Ne è derivata negli ultimi anni una caduta di motivazione e di  presenza del volontariato nella società, su cui ormai è aperta una discussione vera. Anche su questo tema la riflessione critica sta producendo libri e ricerche.
Nei vari stand del Salone, in un atmosfera allegra e caotica, si potevano quindi vedere piccole case editrici arrivate da ogni  parte d' italia, alcune case editrici importanti di più ampie dimensioni, e tante associazioni, gruppi e riviste di cultura. Dedicato al tema della a scuola e l' educazione, il Salone non ha presentato solo il ritratto  di un 'Italia civile, fatta di intellettuali, operatori sociali, volontari, impegnati a capire la realtà, ma è divenuta l' occasione per formulare progetti utili a guarire (nel medio periodo) da questa anoressia etica che ormai ci affligge tutti: progetti misurati sui bisogni concreti dei cittadini
(cultura, scuola, salute,ecc.)  e non sulle semplici proclamazioni indignate.
Ne abbiamo bisogno tutti in una fase così oscura della vita del paese.

 
Per saperne di più

http://www.gliasini.it/
http://www.editoriasociale.info/

Una nuova fase della comunicazione sociale

Una nota di Andrea Pancaldi sul II Salone dell' editoria sociale - tratta da una discussione su Facebook


E' una gran bella cosa che si sia arrivati ad un vero e proprio salone dell'editoria sociale. Personalmente ho avuto modo di vivere gli albori di questa dinamica che è nata ormai oltre 30 anni fa. Gli anni a cavallo tra il '70 e l'80 in cui ...il CDH a Bologna (il centro documentazione, i convegni Handicap di carta, le riviste Rassegna stampa handicap e Accaparlante), il Gruppo Abele a Torino (anche loro un centro doc, l'agenzia ASPE, una libreria specializzata), la Comunità di Capodarco (con l'agenzia RES la...nonna di redattoresociale), e in una qualche misura il Centro nazionale per il volontariato di Lucca con l'idea di una federazione dei periodi del volontariato, ponevano le basi per un lavoro sulla informazione e documentazione in campo sociale che non fosse residuale, sottoprodotto di altro (come ad esempio le riviste o i siti legati a progetti europei che regolarmente, finito il progetto, vengono lasciati morire, avendo drenato, e sprecato, inutilmente risorse).
Ricordo con tanto piacere persone come Mirta da Prà, Ruggero Valentini, Mario Toppi, Leonardo Butelli, Stefano Ricci ed altri che non cito per non fare un lungo elenco, che sicuramente hanno contribuito allo sviluppo di questa fetta della realtà del "terzo settore" e più in generale dell'editoria e della comunicazione sociale.


Le diverse stagioni dell'editoria sociale


Negli anni a seguire le iniziative si sono moltiplicate (riviste, centri documentazione) per aprirsi poi alla stagione di Internet e alla nascita di vere e proprie case editrici, come ricorda Umberto, specializzate nel sociale.
Per una breve stagione anche un tentativo di un collegamento tra i tanti centri di documnetazine sociale italiani con la Rete Nephila....Silvia Bruni, Elisabetta Linati, Mariella Errigo, Francesca Amadori...il Consorzio Ferrara Documentazione Sociale e i convegni a Bibliocom come testimonianza di una volontà di scambio e collegamento col mondo delle biblioteche pubbliche.Un panorama di estremo interesse, anche se fra luci ed ombre. Anche i numeri erano significativi: ricordo di aver curato per alcuni anni delle banche dati delle riviste e dei centri di documentazione che avevano toccato rispettivamente quota 450 e 180.
Ora l'interesse per le pratiche di documentazione (molto lavoro e ..poca gloria) è abbastanza scemato e la capacità di innovazione ne risente con estrema evidenza. Per molto anni la parola d'ordine visibilità ha imperato favorendo una enorme ripetitività. Il boom del non profit ha avvicinato anche le case editrici professionali, anche se è necessario dire, e non si scopre nulla di trascendentale, che per molti anni la gran parte di quello che si editava era di ambito prettamente economico a riprova, a mio parere, di un certo sviluppo poco armonioso della via italiana al non profit con un certo prevalere dei mezzi sui fini e del discorso organizzativo su quello relazionale.


Produrre cultura e non solo servizi


Mi pare che anche il tempo della ripetitività stia per finire, che l'esplodere del web abbia indotto la necessità di ri-flettere e ri-pensare a chi maneggiava e maneggia la carta e quindi... ben venga questo secondo salone e la voglia di discutere di libri, collane, riviste, idee e strumenti per far circolare saperi, pratiche, innovazione, vite vissute.
Concludo con una frase che mi è carissima, rubata infinite volte al gruppo Abele "...gli emarginati non sono la parte malata della società, ma il prodotto di una società malata. In questo senso è evidente come sia necessario produre non solo servizi, ma anche - e soprattutto- cultura".

Per saperne di più

http://www.handybo.it/
http://www.presenzesociali.org/

martedì 26 ottobre 2010

Educatori e società

Una nota di Gioacchino De Chirico- dal Corriere della Sera, 21 Ottobre 2010
Si consumano sempre più spesso appelli a “dare il buon esempio”. Nei luoghi pubblici, nello sport, in televisione, nell’arena politica si combatte a colpi di buone pratiche civili, rivendicate ma costantemente negate in nome della logica del più forte, del più furbo o del più “cattivo”. Un termine quest’ultimo usato invece come complimento pari a un altro, altrettanto equivoco, che è quello di “cinico”. Perché essere “cinici”, per molti, vuol dire essere in gamba.
Effettivamente chi ha un ruolo pubblico dovrebbe sentire con forza il dovere di stili personali all’altezza della sua posizione, sia un politico, un personaggio dello spettacolo, uno sportivo o un intellettuale.
Ma non si tratta di buone maniere. Si tratta della consapevolezza di essere, direttamente o indirettamente, anche “educatori”. Come il sindaco Vassallo ucciso dalla camorra, don Ciotti, il fondatore di Libera o don Tonino Bello. Come molti cittadini impegnati nella vita pubblica e sociale, spesso accanto ai più deboli, nella politica, nel lavoro, nella scuola e nel volontariato. Costoro “insegnano”, senza cattedre né pulpiti. Riescono cioè a dare un senso “sociale” al loro agire.
Alla funzione dell’educatore è dedicata la seconda edizione del Salone dell’editoria Sociale che si tiene a Roma a partire dal prossimo venerdì 22. Una manifestazione piccola ma di grande importanza che, tra l’altro, offre l’occasione per ragionare sul fatto che stiamo demolendo il bene più prezioso per la vita di ciascuno di noi: la società. Un processo spiegato magistralmente da Saskia Sassen, intellettuale americana ospite proprio della prima giornata del Salone.
Mentre la società perde i suoi elementi aggreganti, molti cercano rifugio in piccole e improbabili identità di territorio, famiglia e clan chiusi che tendono a vedere nemici in chiunque sia diverso da loro. Che vivono l’ingiustizia non come problema a cui porre rimedio, ma come condizione ineluttabile in cui si cerca di chiudere gli altri per salvare se stessi. E la politica sbaglia quando inventa solo sanzioni ogni volta che un problema affiora. Non soluzioni, ma prove di forza. Decisamente un “cattivo esempio” per i cittadini di oggi e di domani

lunedì 18 ottobre 2010

Pietro, l' ultimo film di Daniele Ganaglione

Il cinema, come è noto, si misura sin dalle origini con il tema della disabilità. La fuoriuscita dei limiti della normalità, l'eccezionalità del personaggio è un meccanismo intrinseco alla natura del racconto, destinato comunque a sorprendere. Ma in questa regola abbastanza ovvia c' è un rischio mortale. Chi si avvicina con una falsa coscienza alla disabilità, cade subito nella trappola del sentimentalismo: le storie sull'handicap si prestano facilmente a catturare gli istinti più bassi del pubblico. 
Uno sguardo sulla realtà sociale
Un giovane autore è riuscito a sfuggire a questa trappola e a realizzare un opera di rara bellezza. Si tratta di Daniele Gaglianone e del suo film Pietro. Nato nel 1966 e attivo dopo gli anni novanta, questa regista italiano si è segnalato subito per uno sguardo rigoroso verso la realtà sociale, di cui descrive le situazioni più marginali ed estreme.
Nel 2000 con la sua opera prima I nostri anni raccontò una vicenda singolare e coinvolgente sul tema della memoria: la storia di due anziani ex partigiani che ritrovano, semi paralizzato in un ospizio, l’ ex- fascista che durante gli anni della guerra aveva massacrato il loro gruppo di resistenti. Nel 2003, con Nemmeno il destino, tratto dal romanzo omonimo di G. Bettin e presentato alle «Giornate degli autori» della Mostra di Venezia 2004, descrisse un' ambiente di questi ultimi anni, segnati dalla scomparsa della grande fabbrica e dalla caduta dei legami sociali tradizionali. Si trattava di tre storie di adolescenti, vittime predestinate ad un futuro di infelicità, sullo sfondo di una metropoli disperata e autentica.
Gaglianone ritorna ora su temi analoghi con questo film, in programmazione da qualche tempo.
Il protagonista vive in un periferia anonima e violenta, eguale a quella di tutte le grandi metropoli: vi abita con il fratello Francesco, che è tutta la sua famiglia. Il giovane parla pochissimo, ha reazioni spesso strambe e sia il fratello Francesco - tossicodipendente – che il suo gruppo di amici spacciatori lo giudicano un ritardato. In una delle scene più atroci del film viene sbeffeggiato da tutti con la complicità del fratello.
La difficoltà di essere fratelli
Pietro sembra non avere altra possibilità nella vita che rimanere fedele il suo ruolo passivo rispetto a Francesco, perduto nella droga e in una disperata abulia.In questo rapporto di simbiosi con il fratello, dovrà arrivare sino alle estreme conseguenze, manifestando però la sua dignità di uomo e una segreta, profonda umanità.Il film intreccia la descrizione delle giornate dei due fratelli con il racconto delle strade della metropoli, disegnate negli aspetti più desolati e canaglieschi. Non c' è salvezza per nessuno in questa storia che non intende suscitare nessuna ipocrita compassione sulla disabilità del protagonista.
Il regista analizza invece con una lucida pietà i meccanismi dell'esclusione sociale. Il suo modo di usare la macchina da presa, pedinando i personaggi e i luoghi richiama la lezione del miglior cinema d' autore del passato : un realismo austero, che nel finale sa arrivare senza retorica ai toni della tragedia.
Se all'uscita proverete un certo senso di disagio verso la nostra tranquilla normalità, sarà il segno che questo è un film da ricordare.
( In uscita sul prossimo numero di Confronti)


Per saperne di più
http://www.movieplayer.it/articoli/07122/pietro-una-conversazione-con-daniele-gaglianone/

martedì 5 ottobre 2010

Due ore a Vienna in compagnia di Freud

Arrivare a Vienna per appena due giorni e visitare la casa di Freud era quasi un obbligo morale per una famiglia che ha la nostra storia. La lunga vicenda clinica di Marco e le tappe faticose della sua fuoriscita dal silenzio ci hanno obbligato a un lavoro analitico, sia pure in forme non canoniche, durato ad intervalli, più di dieci anni. Questo lavoro oscillò tra il sostegno a due genitori angosciati e alcuni lampi di chiarezza nella propria storia individuale.
Negli anni fatidici dell' Università, tra l' altro, avevamo dovuto misurarci con la storia della psicologia e figure come Basaglia e Jervis facevano parte dei nostri interessi, o comuqnue delle idee, degli umori che circolavano nell' aria. Ricordo ancora - con autoironia feroce- che pronunciai la mia dichiarazione d' amore in un cinema del centro dove eravamo corsi a vedere Matti da slegare, il celebre documentario di Bellocchio, Agosti, Petraglia e Rulli sull' apertura dei manicomi, uscito nel 1975!
La visita restituisce l' emozione che promette. Trasformata in un museo da amministratori, che hanno evidentemente il sentimento autentico della propria memoria culturale, la casa è organizzata come un preciso percorso museale. Colpisce il rigore e la coerenza dell' esposizione, Le foto ricostruiscono tutta la biografia
di Freud, dalla giovinezza sino alla morte e i testi raccolti, come i video, documentano l' influenza della psicoanalisi in tutto il mondo.
Ma l'emozione più forte viene suscitata da alcuni oggetti quotidiani, molto "borghesi": il bastone, una valigia, il cappello. Per un attimo si esce dall' archeologia e si coglie un frammento di realtà.
Nell' insieme un' atmosfera austera, senza essere pedante che rievoca un periodo fondamentale della storia europea. I turisti in visita (non molti, per la verità), si aggiravano per le sale con una curiosità vivace, molto " cosmopolita".
Un particolare commovente che non conoscevo: la casa, in cui si tennero le sedute della prima Società psicoanalitica, era stata precedentemente abitata dal leader socialdemocratico Victor Adler. Sono uscito con un dubbio: ma questa grande cultura europa, libera e anticonformista, colta e socialmente consapevole, ha ancora un peso in Europa?

Per saperne di più



Per chi non sa nulla della psicoanalisi, non cito i libri, che si trovano in tutte le librerie, ma un sito tra i più rigorosi, che merita essere conosciuto meglio: l'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un' organica imprese culturali costruita dalla Rai- tv degli anni migliori. Una forma di televisione che da tempo si tenta di distruggere con folle  protervia.
http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=169

domenica 26 settembre 2010

Ma che amicizia pratichiamo in rete?

Termini come socialità, solidarietà, scambio sono di uso comune non solo sui media, ma nell' immaginario di milioni di utenti della rete che ormai hanno modificato nel profondo i loro comportamenti quotidiani. Ma un interrogativo continua a circolare in forme spesso moralistiche, che hanno però un fondo di acida verità: che tipi di socialità, di amicizia è quella della rete? Che cosa ci si scambia realmente? I flussi di comunicazione on line hanno funzioni e significati diversi.
Il primo è ovviamente quello commerciale: in rete si compra e si vende di tutto ( dai prodotti culturali agli oggetti per la casa, ai medicinali e al porno).
Ma vi sono altre importanti modalità di comunicazione: sentimentali ed erotiche, editoriali, politiche, ma anche scambi deciati alle decisive questioni della solidarietà ( richieste di aiuto su temi etici, proteste in difesa di alcuni diritti non rispettati, testimonianze biografiche, che non circolano su altri media).
Questi nuovi spazi hanno creato comunità virtuali, che si autodefiniscono usando termini densi di echi significativi come " amicizia ". Queste relazioni inedite, basate sulla virtualità, possono cambiare - e in quale misura- i modelli più tradizionali di costruzione dei rapporti tra le persone? Che destino hanno le emozioni, fondate sullo scambio diretto di sensazioni corporee e visive, in un universo di relazioni fondati invece sulla lontananza e l' assenza? Che tipo di modelli antropologici e di socialità stanno nascendo, insomma, nell' epoca di Internet?
Memori della lunga tradizione di studi sul dono da Marcel Mauss in poi, gli autori del libro indagano nei nuovi comportamenti on line con esempi che invitano ad una analisi ragionata piuttosto che ad un entusiasmo aprioristico. I modelli " liquidi" di rapporti tra gli individui suscitano per ora legittimi dubbi sul rischio di un'isolamento autistico, sollecitando approfondimenti sulla qualità di questa condivisione globale di emozioni e vissuti.
Scrivono, tra l' altro, Aime e Cossetta: “..Alcune esperienze vissute nel web, come blog, forum, social network, sembrano la metafora .. di una societò paradossale, che pare aver riscoperto la forza e la necessità del dono, ma che non riesce a diventare un fatto sociale totale” ( p.115).
Non ci aiutano gli entusiasmi apologetici di chi considera la rete la frontiera di un nuovo Eden, denso solo di promesse. Il rischio dell' amicizia virtuale è quello solito, antico come il mondo: la superficialità episodica. Guardarsi negli occhi resta un' operazione indispensabile e di elevata forza critica


Marco Aime Marco, Anna Cossetta

Il dono al tempo di Internet
Einaudi , 2010,p. 121, € 10,00

venerdì 24 settembre 2010

Paura e desiderio a Garbatella combat zone

Sul nodo del rapporto tra letteratura e analisi sociale, vi sono state negli ultimi tre-quattro anni molte polemiche ( spesso velenose) e anche tante opere (per fortuna). Basti ricordare alla rinfusa romanzi e racconti di Aldo Nove, Michela Murgia, Giorgio Vasta, il collettivo Wu Ming e molti altri.
Libri di diverso valore, ma tutti segnati dall'urgenza di capire un presente insopportabile: la crisi morde anche l' immaginario degli intellettuali e non tutti si arrendono soddisfatti alle lusinghe della letteratura televisiva.
Tra i romanzi da ricordare, c'è sicuramente Il contagio di Walter Siti: un ritratto disperato e lucido delle nuove periferie romane, segnate da droga, criminalità e corpi dilaniati. Con impeto sociologico e furore etico pasoliniano Siti vi sosteneva una tesi radicale: a Roma, e forse nel mondo, i nuovi borghesi assumono i comportamenti - sessuali e criminali - delle borgate e il mondo popolare incorpora i peggiori stili di vita dei ceti arricchiti ( lusso volgare, cultura televisiva, droga, ecc.)
La lettura del primo romanzo di Massimiliano Smeriglio, dirigente politico e saggista interessato al destino delle metropoli, m' ha riportato alla mente la tesi del libro di Siti a cui Garbatella combat zone rende omaggio con una citazione indiretta, ma assai precisa.
Se l' ispirazione sociologica e l'ambientazione romana è la stessa, diversi sono i personaggi e i toni di questo libro. Diverso è innanzi tutto l' intreccio, meno corale e centrato sul protagonista.


Tra illegalità e destino precario


Valerio, trentenne precario, vive nel quartiere della Garbatela un 'esistenza inquieta e rischiosa. Nel suo mondo emotivo si intrecciano le memorie della resistenza, gli echi del movimento del 1977 e un presente chiuso a qualsiasi prospettiva. Diviso tra fantasmi del passato e una quotidianità, fatta di violenza e piccole illegalità, Valerio si troverà ben presto a intraprendere un percorso distruttivo che sembra predestinato. La malavita romana non è più quella folkloristica degli anni cinquanta o degli odierni sceneggiati televisivi. Nei meandri del narcotraffico, la sua vita si perderà sulle strade del Messico, alla ricerca di una redenzione impossibile.
Il libro ha molti elementi, che ne compongono la struttura. Il primo, il più semplice se si vuole, è quello di un thriller veloce, appassionante, immerso nella cronaca: è la parabola di un giovane ingenuo, precipitato in un giro criminale più grande di lui tra Italia, Stati Uniti e Messico.
Ma nel destino melanconico di Valerio c' è un secondo livello, più intenso e doloroso. Le vicende di un giovane popolano alla ricerca di un riscatto individuale si allargano al rapporto con la storia: l' impegno politico della sua famiglia nella Resistenza e poi nella sinistra del dopoguerra.
Qui emerge il tema della frattura generazionale: le speranze di cambiamento sociale sono cadute e non sembrano esserci altre vie per i giovani del quartiere, perduti tra la mancanza di lavoro e le violenze tribali di una città ormai nemica,


Le ombre dei morti


Unifica questi due livelli quella che chiamerei un' asprezza esistenziale, con forti risonanze politiche e morali. Provo a dirlo così. Lo scrittore si pone interrogativi antichi, ben noti ai teologi prima e ai filosofi dopo: il destino degli uomini, specie dei più poveri, è determinato per sempre dalle gerarchie sociali? Al sangue e alla violenza non c' è scampo? La costrizione sociale rende impossibile alle scelte di Valerio la " coerenza di una retta" ( p. 32) e lo imprigiona dentro un cerchio soffocante che ha come ultima tappa la morte. Lui sembra saperlo sin dall'inizio della storia, quando si addormenta mentre gli tengono compagnia" le ombre dei morti "( p.93).
Il romanzo non dà ovviamente risposte, inseguendo con apparente levità il proprio protagonista tra osterie, aeroporti e alberghi internazionali ( è la globalizzazione, quella del crimine). Ma è appunto una levità apparente: il filo profondo che lega le varie tappe della vicenda è un grumo struggente di dolore rabbioso. Il romanzo si chiude non a caso su un orizzonte di morte.
Gli incipit dei diversi capitoli scandiscono questi interrogativi con una serie di citazioni dei testi sacri, di inesorabile bellezza.Sono i nostri interrogativi, per chi non vuole rimuoverli. Al romanzo e al suo autore va dato il merito di avercelo ricordato, con bella tensione emotiva.


Massimiliano Smeriglio
Garbatella combat zone
Voland, 2010, p.189, £ 13,00

Per saperne di più

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